Casoli 27.01.2018
Il primo ad arrivare è stato l'ambasciatore sloveno Bogdan Benko, senza l'aplomb e l'albagia del grande personaggio in visita ad un paese dell'interno abruzzese. Il Sig. Benko aveva saputo giorni fa da un quotidiano sloveno di Trieste “Primorski dnevnik” della presenza a Casoli di un campo di concentramento dov'erano stati rinchiusi nel periodo bellico alcuni suoi connazionali, colpevoli di essere sloveni e quindi invisi al fascismo, che avevano sostituito altrettanti ebrei mandati altrove, e qualcuno ad Auschwitz. Una telefonata al sindaco di Casoli, l'autoinvito subito accettato e l'arrivo alle 8,30', in anticipo, accompagnato da una troupe della TV nazionale slovena.
Ad accoglierlo Giuseppe Lorentini, emozionato più del solito, che vede finalmente riconosciuto il suo lavoro di ricercatore storico con la diffusione su campocasoli.org delle migliaia di documenti riguardanti i 218 internati nelle cantine di Palazzo Tilli e dell'ex-municipio. Uno scoop storiografico di prim'ordine, grazie al casuale rinvenimento del triestino Livio Isaak Sirovich di un pacco di lettere tra Rita Rosani Rosenzweig (ebrea triestina) e il suo promesso sposo Giacomo Nagler, internato a Casoli.
Da questa corrispondenza Sirovich tira un fuori un saggio "romanzato" che porta Casoli e il suo campo di concentramento (sconosciuto finora alla gran parte della sua popolazione e a quella dei paesi vicini) agli onori della ricerca storica internazionale sulle vittime della Shoa. Alle 9,30' la piazzetta, che da oggi si chiama "Piazza della Memoria", è piena di gente, di autorità, giornalisti e giovani - tantissimi - dell'Istituto "Algeri Marino" o semplicemente curiosi. Ci si avvicina alla grande targa metallica che riporta i nomi di tutti i 218 internati, l'emozione è palpabile, il sindaco Massimo Tiberini introduce la cerimonia, il sole picchia e il panno rosso si scopre senza aspettare il gesto simbolico dell'ambasciatore, che però lo prende in mano nell'applauso generale.
Seguono discorsi, foto a tutto tondo, musica strumentale di un gruppo di studenti, cui segue la scopritura di una targa con su scritto "Piazza della Memoria": questa volta il panno rosso fa un po' resistenza, ma poi si lascia andare. Sono presenti anche i professori universitari che nel pomeriggio daranno seguito ad un convegno di estremo interesse, tutti invitati a visitare il restaurato Palazzo Tilli dalla proprietaria Antonella Allegrino che fa gli onori di casa con estrema sollecitudine e competenza. Nella cantina del Palazzo, tra botti gigantesche di rovere, la cisterna d'acqua da visitare, il selciato smosso e ripristinato nell'originale, Sirovich riceve dal sindaco la pergamena della cittadinanza onoraria, e questa volta se la cava con poche prorompenti frasi che qualcuno dovrebbe incidere sui muri della cantina: "La memoria va curata come una pianticella delicata, senza potature nè strumentalizzazioni di parte", come invece è successo in questo lungo dopoguerra che vede riaffiorare i segni dell'odio e del razzismo, semi produttori del fascismo.
Nel pomeriggio si assiste alla lunga kermesse dei professori universitari (Vito Gironda, Università di Bielefeld, Alberto De Bernardi, Università di Bologna e vicedirettore INSMLI, Paolo Pezzino, Università di Pisa, Carlo Spartaco Capogreco, Università della Calabria, Annalisa Cegna, Università di Macerata, e Giuseppe Lorentini). Riflessione finale affidata alla presidente ANPI Carla Nespolo. De Bernardi chiude la discussione con una specie di "il re è nudo!": il fascismo ebbe un consenso di massa, innegabile, e questo pesa ancora sulle narrazioni che di quel periodo storico si fanno tuttora.
Gino Melchiorre
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